mercoledì 18 marzo 2015

Eclissi solare, il "Sole nero" per gli antichi

Mentre si attende con ansia l'eclissi solare che si terrà il 20 marzo e che introduce in qualche modo l'equinozio primaverile, si sta parlando molto del fenomeno legato ad alcune leggende secondo cui l'oscuramento del sole sarebbe presagio di avvenimenti negativi. 
In quanto fenomeni straordinari da sempre vengono associati a miti e leggende. Ricordiamo per esempio lo storico Erodoto che raccontando la guerra tra i Lidi e i Medi parlava del giorno che si tramutò in notte, riferendosi a un'eclissi solare che il matematico Talete di Mileto aveva a suo tempo predetto, il passo è il seguente: <<…scoppiò una guerra fra i Lidi e i Medi che durò per cinque anni, durante i quali più volte i Medi vinsero i Lidi e più volte i Lidi i Medi; e combatterono anche una battaglia di notte. Infatti mentre essi con pari fortuna proseguivano la guerra, nel sesto anno si scontrarono, e, nel corso della battaglia il giorno all’improvviso diventò notte. Talete di Mileto aveva predetto agli Ioni questo fenomeno, indicando quello stesso anno in cui effettivamente avvenne. I Lidi e i Medi, quando videro la notte prendere il posto del giorno, cessarono il combattimento e s’adoperarono entrambi perché si facesse tra loro la pace…>>
Anche Omero nella sua Odissea narra che il ritorno a Itaca di Ulisse fu preceduto dall'oscuramento del Sole, presagio della sventura che si abbattè sui Proci.
Altro avvenimento legato a un'eclissi ce lo racconta lo storico Diodoro Siculo che ci parla della fuga del tiranno di Siracusa, Agatocle: << Essi raggiunsero la salvezza insperatamente sul far dell’alba. Il giorno successivo ci fu un’eclissi di Sole nel corso della quale scese il buio più fitto e le stelle furono viste splendere per tutto il cielo. Gli uomini di Agatocle, interpretando l’evento come un cattivo presagio, precipitarono nell’angoscia per il loro futuro >>. 
Si dice che anche la Guerra del Peloponneso fu teatro dell'eclissi del 3 agosto del 431 a.C..
Insomma gli eventi legati a un'eclissi sono numerosi e quasi sempre negativi, i più superstiziosi venerdì prepareranno sicuramente corni e cornetti, si muniranno di metallo o faranno riti per scacciare la negatività, per gli appassionati di astronomia sarà un fenomeno a cui assolutamente assistere. In ogni caso il 20 Marzo 2015 sarà una data da ricordare.

Fonti: Enciclopedia Italiana Treccani; "La Repubblica"; Meteoweb.eu.

lunedì 2 febbraio 2015

Ercole o Eracle

Chi non conosce il mito di Ercole o Eracle, l'eroe delle famose dodici Fatiche? Forse un pò tutti dal momento che sono stati fatti film, serie tv e cartoni animati su questo personaggio. Quanti però conoscono la vera storia di Ercole? Ebbene ho pensato di scrivere brevemente la nascita di questo eroe della mitologia greca e raccontare come nasce la leggenda che lega il suo nome alla città di Ercolano, una curiosità che spero soddisferà non solo gli abitanti della città stessa ma chiunque ne sia appassionato.
Ercole (Hercules) per i Romani e Eracle (Ἡρακλῆς) per i Greci, il cui nome è composto da  Ἥρα ovvero la dea Era e κλέος ovvero "gloria" (letteralmente  "gloria di Era"), nasce secondo la leggenda dall'unione di Zeus  e Alcmena, figlia di Elettrione, re di Micene. Il mito racconta che Anfitrione, giovane re di Tirinto, si era invaghito di Alcmena. Il padre Elettrione promise di darla in sposa solo se avesse vendicato la morte dei suoi figli uccidendo la popolazione dei Tafi. Zeus approfittando dell'assenza di Anfitrione, prese le sue sembianze e giacque con Alcmena. Da questa unione nacque Eracle, metà mortale e metà divinità, come è conosciuto nella tradizione. Hera per vendicarsi del tradimento del marito mandò dei serpenti nella culla di Eracle che li strozzò, mostrando già da piccolo la sua forza sovraumana.
Fu allevato a Tebe dallo stesso Anfitrione. Vinse una guerra contro i Mini che pretendevano un tributo da Tebe e in seguito a questa vittoria il re Creonte gli promise sua figlia Megara in sposa. Da Megara si dice che ebbe due figli, altri dicono tre, quattro, persino otto. Eracle riportò molte altre vittorie che lo fecero diventare l'eroe più famoso di tutta la Grecia. Era, seccata dai successi di Eracle, lo fece impazzire. La pazzia lo portò a uccidere i suoi stessi figli. Dopo aver recuperato la ragione, le successive vicende si dividono. Secondo una versione la Pizia, sacerdotessa degli oracoli di Delfi, si rivolse ad Eracle consigliandogli di fissare la sua residenza a Tirinto, di servire Euristeo per dodici anni e di compiere tutte le fatiche che gli imponeva; come ricompensa avrebbe ottenuto l'immortalità. Secondo un'altra versione Eracle fu l'amante di Euristeo e per piacergli compì le dodici Fatiche. Ad ogni modo le dodici Fatiche di Ercole o Eracle sono le vicende più famose compiute dall'eroe.
Non tutti sanno che secondo lo storico greco Dionigi di Alicarnasso, Ercolano venne fondata da Eracle di ritorno dalla sua decima fatica (l'uccisione del mostro Gerione). La leggenda narra che Ercole, tornato dall'uccisione del mostro Gerione (la decima delle sue dodici fatiche), si fosse fermato a Roma, dove chiese alla dea Fauna di dissetarlo, ma questa rifiutò, poiché la sua acqua sacra era riservata alle sole donne. In preda alla collera, Ercole costruì un tempio in onore di sé stesso e vietò alle donne di partecipare alle sue cerimonie.
Intanto, un figlio di Vulcano, il demone Caco, rubò una parte della mandria di buoi che Ercole aveva a sua volta preso al mostro Gerione, e che erano destinati alla città di Argo. L'eroe si adirò molto e si mise alla ricerca dei buoi, che però si rivelò molto ardua perché il demone Caco aveva portato le bestie nella sua grotta sul Vesuvio, trascinandole per la coda, in modo che le orme rovesciate indicassero la direzione opposta.
Proprio quando stava per rinunciare, uno dei bovini rispose al richiamo di Ercole, che così scoprì dove si fosse nascosto il ladro: una volta raggiunto, scoprì che i suoni provenivano da una caverna sul Vesuvio, che era stata però chiusa dall'interno con un enorme masso. Ercole allora prese una rupe appuntita e riuscì ad aprirsi un varco all'interno della spelonca.
Caco cercò di difendersi vomitando dalle fauci un'immensa nuvola di fumo che avvolse la grotta, ma Ercole balzò attraverso il fumo, afferrò Caco e lo strinse tanto da fargli uscire gli occhi dalle orbite, uccidendolo.
Poi, recuperato il bestiame, decise di tornare ad Argo, e continuare le ultime due fatiche rimaste, ma prima volle edificare una città nel luogo dove aveva costruito il tempio; fondò così una cittadina e le diede il suo nome: Herculaneum. In realtà il culto di Ercole è diffuso anche in altre città dell'area vesuviana come Pompei, ma ci piace pensare che la leggenda sia vera e che la città di Ercolano sia legata alle vicende di uno degli eroi più famosi al mondo, il nome Herculaneum non sarà solo un caso.


Ercole Farnese,
copia romana di un originale di Lisippo
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Nell'iconografia greca e romana Ercole o Eracle viene raffigurato con gli attributi della clava e della pelle leonina, talvolta anche con l'arco e la faretra. La muscolatura è sempre vigorosa, In alcuni tipi italici presenta anche la corazza mentre i due tipi barbato e imberbe coesistono sin dall'arcaismo. Numerose sono anche le sue raffigurazioni in azione nelle dodici Fatiche.

mercoledì 21 gennaio 2015

Il Partenone

Una delle opere architettoniche più famose al mondo e più importante ad Atene è sicuramente il Partenone.
Rappresenta il "frutto" principale dell'arte classica, simbolo di una pace conquistata dai Greci dopo la fine delle guerre persiane, un inno alla grandezza di Atene che è al culmine del suo splendore.
Il Partenone prende il nome dalla statua che vi si trovava all'interno, l'Atena Parthenos (Atena la vergine), distrutta probabilmente in un incendio nel V sec d.C..
Il Partenone sorgeva su un edificio preesistente, il tempio di Atena Polias; fu iniziato dopo la pace di Kallias del 449 a.C., nel 447 a.C. e la costruzione continuò fino al 438 quando fu inaugurata la statua cristoelefantina di Atena. L'edificio venne costruito partendo dall'esterno e proseguendo all'interno, quindi venne prima completato il colonnato, poi la cella e poi  l'interno. Per i lavori vennero impiegati moltissimi operai che lavoravano con gran velocità. Inoltre le fonti fanno anche il nome di alcuni architetti quali Iktinos, Kallikrates e Karpion. Fidia invece fu il sovrintendente di tutti i lavori dell'Acropoli. Dunque il Partenone è il risultato di una collaborazione tra personalità di gran rilievo, capacità ed esperienza.
Pianta del Partenone

Plan of the Parthenon

Veniamo alla descrizione: l'edificio poggia su un basamento su cui si innalzano 8 colonne per 17, l'aver scelto un tempio ottastilo significa prendere spunto dai grandi tempi dell'Asia del VI secolo, allontanandosi dai canoni tradizionali. Il naos è anfiprostilo, ovvero presenta 6 colonne sia nella parte anteriore che posteriore; il pronaos presenta 4 colonne ioniche; la cella  presenta tre navate divise da un doppio ordine di 10 colonne e aveva sul fondo una file di 5 colonne, in mezzo al doppio ordine sorgeva imponente la statua crisoelefantina di Athena.
Il ciclo di sculture del Partenone rappresenta il maggior complesso di età classica. L'edificio era decorato da 92 metope, un fregio continuo di 160 metri che girava intorno alla cella e due frontoni con figure colossali. Le sculture erano tutte eseguite in marmo pentelico; erano arricchite da bronzo probabilmente dorato. Tracce di colore rosso e blu sono state trovate in diversi punti, Si può affermare dunque che il fondo delle metope era campito di rosso e blu e che il fondo del fregio era blu; le figure inoltre erano arricchite anche da rosso, verde e dorature.
Le metope era 14 sui lati brevi e 32 sui lati lunghi e formavano un ciclo di quattro avvenimenti. Sul lato occidentale una amazzonomachia, sul lato settentrionale il ciclo dell'Ilioupersis, sul lato orientale una gigantomachia, sul lato meridionale una centauromachia.
Il fregio invece rappresenta un evento realistico: la processione delle Panatenee con figure in successione di cavalieri, carri, anziani, musicisti di cetre e flauti, portatori di hydriai, coloro che recano vassoi con le offerte, coloro che guidano le pecore e i vitelli al sacrificio. Le processioni confluivano nel fregio orientale dove sono rappresentate le fanciulle che offrono il sacro peplo alla dea, mentre assistono gli dei invisibili. Dunque alla concitazione del fregio occidentale, in cui i cavalieri si preparano alla processione, si contrappone la pacatezza delle figure del fregio orientale.
Sui frontoni sono rappresentate rispettivamente su quello orientale la nascita di Athena, su quello occidentale il mito della gara tra Athena e Poseidon per il possesso dell'Attica.



Oggi i marmi del Partenone, ovvero le metope e i frontoni, sono conservati al British Museum di Londra in seguito all'espoliazione avvenuta all'inizio dell'Ottocento ad opera di Lord Elgin, che allóra si considerava l'ambasciatore di Londra. Sebbene la Grecia rivendichi il possesso dei marmi decontestualizzati all'interno del British Museum, probabilmente l'azione di Elgin salvò i marmi da ulteriori pericoli futuri.
Chi visita oggi l'Acropoli di Atene non può che apprezzare la grandiosità del monumento e in qualche modo immergersi per un attimo nell'atmosfera che si viveva in quegli anni ad Atene.

martedì 30 dicembre 2014

Il calendario

In occasione della fine dell'anno ho pensato di fare un ripasso o meglio capirci qualcosa di più sul nostro calendario, in particolare soffermandomi sulle sue origini e sul suo cambiamento nel corso del tempo.
Il calendario che seguiamo attualmente è quello cosiddetto "gregoriano" che prende il nome da Papa Gregorio XIII il quale attuò una riforma, su suggerimento di una Commissione, sul preesistente calendario "giuliano".
Prima di giungere al calendario adottato oggi vorrei proporvi un breve excursus sui calendari delle diverse civiltà.
Nelle regioni della Babilonia e dell'Assiria nella prima metà del II millennio a.C. fu imposto un unico calendario lunare, basato su un anno di 12 mesi, di 29 o 30 giorni che iniziavano la sera; tra le antiche feste mensili del novilunio e plenilunio si inseriva anche un sacrificio nel giorno 7°, dando origine così alla settimana.
Nell'Antico Egitto il giorno era diviso in 24 ore, il mese in 30 giorni e l'anno in 365 giorni. All'anno così composto si aggiungevano 5 giorni non inseriti nei mesi. Le stagioni erano tre: quella dell'inondazione, quella dell'uscita della terra dalle acque e quella della raccolta.
In Grecia l'anno constava di 12 mesi lunari alternativamente di 29 o 30 giorni; per ovviare all'inconveniente di un anno di 354 giorni si escogitò l'introduzione di un mese supplementare che veniva aggiunto con criteri diversi dalle varie poleis elleniche.
Il problema comune di questi calendari è quello dello "scollamento" fra anno solare e anno civile, perchè il secondo non può essere esattamente uguale al primo che misura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi.
Nell'Antica Roma, ai tempi di Romolo, sembra che l'anno civile fosse di 304 giorni, diviso in 10 mesi, dei quali, 6 di 30 giorni e 4 di 31. I nomi dei mesi erano quelli attuali ad eccezione di gennaio e febbraio che non esistevano perchè l'anno si faceva partire dal mese di marzo. Il mese di luglio era chiamato Quintilis, cioè "quinto mese", cambiato successivamente in Julius in onore di Giulio Cesare. Così anche per il mese di agosto chiamato inizialmente Sextilis, cioè "sesto mese", cambiato poi in Augustus, a motivo del fatto che in quel mese riportò tre vittorie e mise fine alle guerre civili. I nomi dei mesi successivi è evidente che erano così chiamati essendo il settimo, l'ottavo, il nono e il decimo mese dell'anno.
Riguardo il fatto che mancavano in questo calendario gennaio e febbraio si ipotizzava che i Romani avessero ereditato quel calendario da una popolazione indoeuropea che abitava in quale luogo presso il Polo Nord dove in quei due mesi dell'anno vi era totale mancanza di luce. Quando questo popolo migrò al Sud dovette adeguare il calendario così come fecero i Romani aggiungendovi due mesi. Secondo la leggenda fu Numa Pompilio ad aggiungere i due mesi e a portare l'anno a 355 giorni.
Tuttavia la differenza di circa dieci giorni e mezzo fra l'anno solare e quello di Numa Pompilio provocò in breve tempo un distacco tra l'andamento delle stagioni e quello dell'anno civile, Per ovviare a questo inconveniente si tentò di aggiungere ogni due anno un tredicesimo mese che avrebbe dovuto essere alternativamente di 22 o 23 giorni, ma anche questa soluzione sembra non risolse il problema.
Fu Giulio Cesare nel 46 a.C. ad attuare una riforma del calendario, forse dietro suggerimento dell'astronomo Sosigene; stabilì che la durata dell'anno fosse di 365 giorni e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L'anno di 366 giorni fu detto "bisestile" e il giorno complementare doveva cadere sei giorni prima delle calende di marzo. In questo modo si attuò il cosiddetto calendario "giuliano" di 365 giorni diviso in 12 giorni alternativamente di 30 o 31 giorni, ogni quattro anni febbraio era di 29 giorni e i mesi di gennaio e febbraio da ultimi divennero i primi due mesi dell'anno.
Anche questo calendario portò degli errori facendo cadere l'anno bisestile ogni tre anni invece che quattro costringendo successivamente a rimettere a posto le cose.
Infine nel 1582 Papa Gregorio XII attuò una nuova riforma, da qui il nome di calendario "gregoriano". Con tale riforma si stabilì che dovessero essere comuni (anziché bisestili) quegli anni secolari che non fossero divisibili per 400. Quindi, in definitiva, rimangono bisestili tutti gli anni non terminanti con due zeri e divisibili per 4, e quegli anni terminanti con due zeri ma divisibili per 400. Dalla data della riforma a oggi, dunque, fu bisestile l'anno 1600, non lo furono gli anni secolari 1700, 1800 e 1900, mentre lo è il 2000. La differenza fra il calendario gregoriano e quello giuliano è che il primo conta solo 97 anni bisestili nel corso di 400 anni, anziché 100 anni bisestili, come invece fa il secondo. Ciò significa anche che ogni 400 anni vi sono 97 giorni che si aggiungono ai 365 di ogni anno comune; e siccome 97 giorni equivalgono a 97 x 24 x 60 x 60 = 8.380.800 secondi, dividendo questa cifra per 400 abbiamo una media annua di 20.952 secondi, equivalenti a 5 ore, 49 minuti primi e 12 secondi. Quindi l'anno civile medio risulta di 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con una differenza per eccesso di soli 26-27 secondi da quello solare. Ciò comporta la differenza di un giorno dopo circa 30 secoli, o meglio, di tre giorni ogni 10000 anni.
Al di là di tutti questi conti, ancora una volta possiamo dire che per secoli un sistema adottato dai Romani sopravvive oggi seppure con qualche piccola differenza.

Fonti:
- Enciclopedia Italiana Treccani

lunedì 1 dicembre 2014

BASTA LAVORO GRATIS

Anche se sul mio blog non parlo di questioni politiche e afferenti, vorrei spendere comunque qualche parola sulla manifestazione (una delle tante) che lo scorso 29 novembre è stata fatta a Roma occupando simbolicamente il Pantheon. Il nocciolo della protesta è lo stesso da anni, poco lavoro e spesso gratuito, in un Paese in cui vige il volontariato in questo settore.
Ebbene è possibile che in un Paese come l'Italia, che è la nazione che detiene il maggior numero di siti definiti "patrimonio dell'umanità", per non parlare di tantissimi altri siti minori sparsi per il nostro stivale, la professione di archeologo, storico dell'arte o restauratore non è svolta in maniera adeguata? é possibile che la maggior parte di chi "lavora" nei siti archeologici è un volontario e spesso neanche con la qualifica specifica per il lavoro che svolge? Invece si! Nel 2014 in Italia tutto ciò è possibile!
Intanto da alcuni anni chi sale al potere promette di dare posti di lavoro, di riconoscere la professione, di puntare l'economia italiana sul turismo culturale, eppure ad oggi i risultati sono scarsi.
Si fanno concorsi per un lavoro di 12 mesi, definito "tirocinio"; Franceschini ha firmato un protocollo d'intesa per l'impiego di 2000 VOLONTARI di Servizio Civile Nazionale per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, in sostanza 12 mesi di Servizio Civile con uno stipendio di circa 400 euro al mese per 12 mesi, di solito previsto per il Servizio Civile http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1316503507.html.
Certo, come si dice "la speranza è l'ultima a morire", ma di vivere di speranza e solo di sogni non se ne può più, abbiamo bisogno di atti concreti e serietà e non prese in giro!
BASTA LAVORO GRATIS questo è stato lo slogan della manifestazione del 29 novembre scorso, riporto di seguito tg e testate giornalistiche che ne hanno parlato:
Archeologi in piazza TG Rai 1
Corriere della sera Tv
Il manifesto
La Repubblica

giovedì 20 novembre 2014

La città di Troia o Ilios

Vi ricordate la celebre leggenda di Troia che per secoli ha arrovellato le menti di tanti studiosi e ancora oggi desta fascino e mistero? A tal proposito vorrei parlarvi di un'altra grande scoperta di tutti i tempi: la scoperta della città di Troia o di Ilios, in greco.
I primi scavi vennero condotti da uno studioso francese, Jean Baptiste Lechevalier, che, nel 1785, Iliade alla mano, aveva attraversato la Troade identificando le Kirk Goz, le "quaranta fonti" presso Pinarbashi, con le sorgenti calda e fredda dello Scamandro, descritte nel poema.
Nel 1864 il tedesco Johann Georg von Hahn volle verificare la tesi di Lechevalier e sulla collina trovò i resti di un antico insediamento. A questo punto venne data per certa l'identificazione ma Schliemann non era veramente convinto e anzi voleva provare l'infondatezza dell'identificazione.
Sembra però che non intuì da subito che Troia potesse trovarsi sulla collinetta di Hissarlik e che fu il console britannico Frank Calvert, grande conoscitore della Troade, dal momento che la sua famiglia da tempo risiedeva in quella zona, che gli indicò la collinetta.
Il console così avvio degli scavi che gli consentirono di portare alla luce parti del tempio di Atena e settori delle mura di fortificazione di Troia VI, che risalivano alla media età del Bronzo. Calvert si rese conto, inoltre, che la collina di Hissarlik era composta da una serie di strati sovrapposti appartenenti a diverse epoche dell'insediamento.
La città di Troia

Schlielmann, sollecitato dal collega britannico, decise di intraprendere le prime esplorazioni che furono condotte tra il 1870 e il 1873. Schlielmann era convinto che la città di Priamo si trovasse nello strato più basso della collina e che quindi doveva arrivare al terreno vergine. Così scavò, nel 1871, un enorme trincea larga quattro metri e ogni giorno sempre più profonda. Dopo due mesi di scavi ormai pensò di aver sbagliato, che la città non si trovasse lì, ma decise comunque di continuare le operazioni di scavo. Soltanto nell'anno successivo Schlielmann raggiunse le imponenti mura che identificò con quelle della città descritta da Omero. A poco a poco emersero, oltre le mura, anche i resti delle porte, delle strade che fecero da scenario alle gesta di Ettore e Paride. Ecco che giunse a una scoperta eccezionale, una delle più citate nel mondo dell'archeologia: nei pressi della cosiddetta "casa di Priamo", venne alla luce un tesoro inestimabile composto da recipienti in oro, argento e bronzo e numerosi gioielli. La scoperta avvenne nel 1873.
La "maschera di Agamennone", "tesoro di Priamo",
Museo Archeologico Nazionale di Atene

Schlielmann non sapeva però che aveva oltrepassato lo strato propriamente "omerico" per raggiungere una città ancora più antica che gli archeologi in seguito denominarono "Troia II". A questa fase risale il cosiddetto "tesoro di Priamo", all'incirca tra il 2600 e il 2200 a.C. Dunque il tesoro apparteneva sicuramente a un principe o a un re molto potente ma che non si poteva identificare con Priamo. In ogni caso questo strato di "città bruciata" venne identificato con l'antica Ilios, città cantata da Omero. Lo scopritore di Troia morì prima di poter accedere alla prova definitiva che la città che aveva messo in luce era più antica di quella descritta da Omero. Fu l'archeologo Wilhelm Dörpfeld a riportare alla luce tra il 1893 e il 1894 lo strato più recente della città denominato "Troia VI", corrispondente all'agglomerato insediativo che ancora oggi è riconosciuto come la città descritta da Omero. In realtà la questione non è risolta perchè sono ancora tanti i dubbi e le domande che ci si pone sia sulla storicità della guerra di Troia, sia sulla reale corrispondenza di questa città con quella omerica. Una cosa è certa è esistita una città composta di nove strati e che ha avuto una continuità insediativa che va dal 3000-2600 a.C. all'età bizantina, che si tratti invece della città protagonista del poema omerico a noi piace pensare che sia così,

martedì 4 novembre 2014

La Villa dei Papiri

Ricostruzione virtuale della Villa
La Villa dei Papiri fu scoperta per caso nel 1750 durante gli scavi avviati dai Borboni per mettere in luce l'antica Ercolano, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
L'evento fu fortuito perchè, mentre si procedeva al di sotto di uno strato di lava dell'eruzione del 1631, vennero fuori alcuni frammenti di marmo. Continuando nello scavo si giunse ad un'exedra circolare sopraelevata, ricoperta di un pavimento a intarsio di marmi policromi: si era arrivati al belvedere di una sontuosa villa di grandi dimensioni. In una galleria si seguì un lungo muro che altro non era che il muro di fondo di un ambulatio di un solarium, cioè di una lunga terrazza riparata a nord dal muro ed esposta a sud verso il mare e destinata forse alle passeggiate post prandium. Dalla lunga galleria si giunse ad alcuni ambienti che precedevano un immenso peristilio, circondato da colonne, al centro del quale era una grandiosa piscina. Fra gli intercolumni del peristilio, nella zona del giardino, al bordo della piscina, erano le statue che ora sono conservate nel Museo Nazionale di Napoli. Si arrivò poi al tablinum e in due punti diversi dell'ambiente si trovarono svariati papiri, in gran numero latini. In tutto furono trovati 850 rotoli. Gli scavatori borbonici non compresero subito che si trattava di papiri; a prima vista in effetti sembravano dei carboni. Con un occhio più attento compresero che non erano semplici carboni, avendo delle misure regolari, e all'inizio si pensò a involti di stoffa, a reti per caccia e pesca. Secondo una testimonianza antica, in seguito allo spezzarsi di uno di essi, si notarono delle lettere e si comprese si trattassero di testi scritti.
Da quel momento in poi iniziò la difficile operazione di svolgimento dei papiri.
Vennero mandati al Museo di Portici dove nacque l'Officina dei papiri ercolanensi.
Alcuni di essi vennero persi proprio durante i tentativi del loro svolgimento.
Dopo aver provato diverse tecniche, utilizzando il mercurio, l'acqua di rose, senza esito, si affidò il compito all'abate Antonio Piaggio, il quale ideò una famosa macchina con la quale sono stati svolti la maggior parte dei rotoli di papiro.
I papiri hanno restituito anche testi inediti come il "Sulla musica" di Filodemo e l'XI libro dell'opera fondamentale di Epicuro, "Della natura".
Il nucleo originario del patrimonio librario ercolanense si formò in Grecia e fu successivamente portato in Italia forse da Filodemo stesso in occasione del suo trasferimento a Roma e poi ad Ercolano. Ad esso poi si aggiunsero testi filodemei copiati su suolo italico.
A chi apparteneva questa sontuosa Villa ad Ercolano? Da momento che i testi restituiteci dalla biblioteca sono opere di Filodemo, filosofo epicureo, e la Villa è un edificio sontuoso, ricco di arredo non comune per quantità e qualità, doveva appartenere a un personaggio di ceto e censo elevati e poichè sappiamo da Filodemo stesso e da Cicerone che il filosofo di Gadara era amico e protetto da Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Giulio Cesare, si è supposto che la Villa appartenesse proprio alla famiglia dei Pisoni. Quest'ipotesi è ancora oggi quella più probabile e accettata da tutti.
La costruzione della Villa è datata tra il 60 e il 50 a.C.
Dopo la seconda metà del 1700 altri scavi furono effettuati nel 1980. Nel 1986 iniziarono le attività di scavo a cielo aperto. Venne riaperto un pozzo borbonico, il pozzo Veneruso, grazie al quale gli archeologi si trovarono in prossimità della cosiddetta "colonna gemina" in corrispondenza cioè del passaggio tra il grande giardino rettangolare e gli ambienti dei tablinum, ovvero le stanze in cui furono trovati i primi papiri. Il sopralluogo continuò anche nel pozzo "Ciceri 1" e si potè stabilire con certezza la planimetria della villa.
Planimetria di Weber
Si constatò che oltre il piano documentato dall'architetto Weber all'epoca borbonica vi era anche un altro piano che non era stato individuato dall'esplorazione settecentesca.

Villa dei Papiri oggi
Gli ambienti visibili oggi sono l'atrio, la basis villae, ed alcune stanze di un livello inferiore.
Una bellissima ricostruzione virtuale della magnifica Villa dei Papiri di Ercolano si può ammirare al M.A.V. di Ercolano, dove si può rivivere l'atmosfera e la magia di quella biblioteca in cui migliaia di anni fa studiosi da ogni dove venivano per consultare testi e per discutere di filosofia.