giovedì 23 febbraio 2017

Il NO di Atene a Gucci: "un'offerta che non poteva rifiutare"?

Volevo scrivere due righe in merito al NO a gran voce di Atene alla proposta di Gucci di sfilare sull’Acropoli. C’è chi sostiene abbia fatto bene, chi invece ritiene sia da folli rifiutare una tale offerta, come se l’avesse fatta Don Vito Corleone ne “Il Padrino”, insomma l’opinione è divisa.

In breve: Gucci avrebbe offerto fior di milioni di euro per far sfilare, circa 15 minuti, modelle e modelli su una pedana posta tra il Partenone e l’Eretteo. Cosa ci sarebbe di male, in fondo? Se conosco un po’ il mondo greco dall’antichità ad oggi, capisco bene la loro ferma decisione. È un popolo molto nazionalista e legato alle sue radici e alla sua cultura millenaria: l'Acropoli era un luogo sacro per gli antichi Greci ed oggi possiamo dire che mantiene questa sacralità anche per i greci del terzo millennio. Si và ben oltre ad una questione puramente economica.

Chi pensa siano stati dei pazzi, forse conosce poco la Grecia e le sue origini. È vero, non è una nazione messa bene, crisi, debito pubblico e chi ne ha più ne metta, ma accettare avrebbe voluto dire rinnegare il proprio pensiero. Gucci avrebbe offerto 2 milioni di euro solo per restaurare l’Acropoli, oltre gli 80 tra pubblicità e diritti televisivi, e qui nasce una polemica infinita che ha spinto a fare controproposte: “Gucci vieni alla Valle dei Templi ad Agrigento”, “Gucci vieni alla Reggia di Caserta”.
Che siano provocazioni o meno, resta il fatto che il rifiuto di Atene è stato visto come chi rifiuta oggi un lavoro in Italia perché va contro i suoi principi ed ideali, nessuno lo farebbe. Atene invece ha fatto una scelta di pancia, azzardata, come se avesse giocato al gioco dei pacchi “Affari tuoi”, rifiutando l’offerta del “dottore Gucci”, ed andando avanti per la sua strada.

Possiamo biasimarla? Non so, le scelte degli altri bisogna rispettarle nel bene o nel male. Atene ha deciso di non vendere la sua cultura perché vale molto ma molto di più.

venerdì 27 gennaio 2017

Aldo Carpi: il pittore che si salvò dall'Olocausto grazie alla sua arte


L’arte è ancor più meravigliosa quando rappresenta la realtà, che sia anche cruda e orribile, perciò nella Giornata della Memoria vorrei raccontarvi la storia di Aldo Carpi, un pittore deportato in un campo di concentramento austriaco che trovò la salvezza grazie alle sue opere d’arte.

Aldo Carpi nacque a Milano il 6 ottobre del 1886. Si diplomò all’Accademia di Brera con il massimo dei voti e due anni dopo già esponeva le sue opere alla Biennale di Venezia, un vero e proprio genio. Dopo aver partecipato come volontario alla Prima Guerra Mondiale, anche se era fortemente contrario, tornò alla sua attività di pittore realizzando nel 1927 le vetrate della Basilica di San Simpliciano a Milano. Era titolare di cattedra all’Accademia di Brera.

Antifascista e nipote di un ebreo convertito al cristianesimo, nel 1944 viene arrestato dai fascisti, non perché fosse ebreo ma perché “colpevole” di aver difeso una sua alunna israelita maltrattata dagli altri docenti e dai compagni. Fu proprio un suo collega a raccontare l’accaduto ai fascisti. Si narra che avrebbe potuto sfuggire all’arresto ma decise di farsi trovare a casa (era sfollato in Brianza con la moglie e suoi sei figli) per salvare probabilmente i figli, attivi nella Resistenza. Uno dei sei figli, il diciasettenne Paolo, però, venne catturato e portato prima a Flossenburg e successivamente nel campo di sterminio di Gross-Rosen, dove fu ucciso dai nazisti con una iniezione.

Carpi venne portato al carcere di San Vittore, successivamente deportato a Mauthausen e, infine, a Gusen, che ne era una specie di sottosezione, dove scrisse su alcuni foglietti, che conservava nelle tasche del pigiama, sotto forma di lettere rivolte alla moglie, uno sconvolgente diario che verrà poi pubblicato con il titolo di  “Il Diario di Gusen”.

"La spiaggia" (Foto di museomaga.it)
Messo a lavorare nelle cave, sarebbe sicuramente morto ma le sue grandi doti di pittore in qualche modo lo salvarono. Un aguzzino delle cave, scoperto che Carpi era un pittore, gli chiese un ritratto da mandare alla sua famiglia. Da quel momento seguirono altri ritratti di ufficiali, carcerieri e delle loro mogli e figli, prendendo come modello una fotografia. Carpi, così, realizzò questi ritratti immaginando paesaggi marini e montani, divenendo delle vere e proprie opere d’arte.

Grazie all’aiuto di un medico riuscì a conservare il suo “diario” e altri disegni che raccontavano il dolore e la sofferenza di quei campi, in un luogo segreto.

Finita la guerra venne nominato direttore dell’Accademia di Brera e, come molti sopravvissuti dell’Olocausto, faceva faticare a raccontare le atrocità vissute in quegli anni. Fu la figlia Giovanna che trascrisse e pubblicò quei foglietti del padre affinchè tutti potessero conoscere e non dimenticare la pagina più terribile della storia dell’umanità.

Troverete tante altre opere di Aldo Carpi cliccando qui.

Fonti:

Enciclopedia “Treccani” online

reportage.corriere.it/senza-categoria/2015/aldo-carpi-il-pittore-deportato-salvato-dai-suoi-disegni-

shoah-memoria/

www.deportati.it/recensioni/diario_di_gusen.html

www.anpi.it/donne-e-uomini/2340/aldo-carpi

www.museomaga.it/

giovedì 25 febbraio 2016

Tecniche di pittura dell'Antica Roma

In un precedente articolo ho parlato dei famosi quattro "stili pompeiani" in cui ho illustrato le caratteristiche di ogni stile pittorico romano che è stato classificato sulla base degli affreschi pompeiani (vi rimando all'articolo in questione I quattro "stili pompeiani"  ), qui vorrei fare invece un'appendice sulle tecniche utilizzate per dipingere questi affreschi parietali su suggerimento di una cara lettrice e fan del mio blog.
Ci si chiede infatti: come ottenevano i colori? Erano diluiti? Come hanno resistito così a lungo?
Dalle testimonianze che abbiamo i colori usati erano perlopiù il giallo, il rosso, il verde, il blu e il nero; colori forti e brillanti di origine minerale, vegetale e animale, che davano un'immagine di vivacità lontana da quella che siamo abituati a vedere con il candore e purezza dei marmi bianchi.
La tecnica pittorica utilizzata ci è stata tramandata da Plinio il Vecchio e Vitruvio. 
Plinio il Vecchio ci parla della tecnica dell'encausto, Vitruvio di quella dell'affresco, ma essendo la seconda più resistente si propende oggi a ritenere fosse quella utilizzata per esempio negli affreschi pompeiani giunti fino ai nostri giorni quasi intatti.
La tecnica dell'encausto consisteva nel mescolare i colori con la cera "punica", ovvero una cera fatta bollire in acqua di mare, si otteneva così una tempera densa da diluire eventualmente con l'acqua.
La tecnica dell'affresco prevedeva che il colore fosse steso su un intonaco ancora fresco e questo permetteva ai colori di restare in eterno, sempre lì.
Vitruvio ci descrive la tecnica nel libro VII, capitolo III e IV, ripropongo alcuni estratti:
"colores autem, udo tectorio cum diligentere sunt inducti, ideo non remittunt sed sunt perpetuo permanentes, quod calx, in fornacibus excocto liquore facta raritatibus evanida, ieiunitate coacta corripit in se quae res forte contingerunt, mixtionibusque ex aliis potestatibus conlatis seminibus seu principiis una solidescendo, in quibuscumque membris est formata cum fit arida, redigitur, uti sui generis proprias videatur habere qualitates"
"questi colori diligentemente stesi sull'intonaco ancora umido, appunto per questo non si staccano, ma rimangono in eterno, perchè la calce, la quale ha perso tutta la sua umidità nella fornace ed è divenuta porosa, quasi costretta dalla fame assorbe tutta l'umidità con cui si trova a contatto, e con nuove mescolanze attraendo a sè gli elementi dei corpi su cui è stesa e di nuovo solidificandosi insieme con essi e prosciugandosi, si ricostituisce in modo da riprendere le qualità iniziali su proprie".

Spero di aver soddisfatto la curiosità di questa nostra lettrice, alla prossima ;)

mercoledì 16 dicembre 2015

La moda nell'Antica Grecia

Da un paio di anni, in particolar modo con l'avvento dei blog e dei tutorial su youtube, veniamo bombardati  da ragazze e ragazzi che dispensano consigli su come vestirsi, come abbinare colori e accessori, utilizzando spesso un linguaggio che facciamo fatica a capire, un misto tra inglese e parole "new age". Eppure, un tempo, la moda era a portata di tutti, gli abiti erano semplici ma allo stesso tempo avevano una propria eleganza e un proprio charme.
Catapultandoci all'incirca cinque secoli prima di Cristo ci rendiamo conto che l'abbigliamento era molto semplice; le donne indossavano il peplo, ovvero un rettangolo di stoffa, generalmente di lana, che veniva avvolto in vita formando dei drappeggi e fermato con una cintura e chiuso con spilloni sulle spalle, lasciando le braccia scoperte, il risultato finale era una sorta di tunica. Il peplo venne utilizzato fino alla metà del VI sec. a.C., verso la fine dello stesso secolo iniziò invece a diffondersi il chitone; si trattava di un abito più leggero, consistente in due rettangoli in lino detti ptèryges, sovrapposti e cuciti in lunghezza, anche questo era fissato in vita con un cordone o una cintura e fermato sulle spalle con spilloni in un primo momento e poi con vere e proprie cuciture in un secondo momento. Completava l'outfit (per utilizzare un termine moderno), l'himation, ovvero un mantello che poteva coprire sia le spalle che la testa utilizzato sia con il chitone che con il peplo.
Athena copia del I sec. a,C. dell'originale di Mirone den V sec. a.C.
Nell'immagine sopra Athena indossa un tipico peplo greco che vediamo fermato in vita da una cintura. Il colore era solitamente naturale tra il bianco o lo zafferano.
Statua di età flavia conservata alle Terme di Diocleziano mostra un esempio di chitone avvolto da himation.
                                                                                                                      
 Anche gli uomini indossavano chitone e himation; il chitone generalmente consisteva in una lunga tunica cucita su un lato e fermata sulla spalla da bottoni o cucita, molto simile quindi a quello femminile. Esistevano però due versioni, quella lunga fino ai piedi senza cintura ( il podères) che veniva indossato solo da dèi, uomini anziani o membri di spicco della comunità in quanto considerato un abbigliamento formale e prestigioso; l'altra versione era un chitone corto fino alle ginocchia che era un vestito da tutti i giorni indossato da soldati, cacciatori o comunque da uomini impegnati in attività quotidiane che avevano bisogno di un abbigliamento comodo e libero che non ostacolava le loro attività. L'himation aveva la stessa funzione di quello femminile, ossia un mantello poggiato sulla spalla e fatto cadere su un lato.
Per l'uomo esisteva anche la clamide; si tratta di un mantello corto fissato con una fibbia o uno spillone alla spalla sinistra così che il braccio destro rimaneva libero.
Nell'immagini che seguono abbiamo un esempio di chitone lungo e altri quattro esempi di chitone corto, himation e clamide.
Chitone maschile lungo
Chitone maschile corto, himation e clamide.

Per quanto riguarda le calzature sostanzialmente esistevano due tipi: uno "stivaletto" in pelle di diversa altezza che fasciava il piede e aveva diversi nomi (embàdes, endromìdes, kòthornoi ) e un sandalo vero e proprio detti krepìdai, blàutai.
Mentre l'abbigliamento maschile oggi è difficile da riproporre quello femminile invece ha avuto molto seguito anche ai giorni nostri con abiti che richiamano la moda di quel tempo, soprattutto per quanto riguarda gli abiti da sposa o gli abiti lunghi da cerimonia che vengono definiti infatti "alla greca", per non parlare dei sandali che in questi ultimi anni stanno riprendendo molto le forme tipiche dell'antica Grecia e anche dell'antica Roma.
Quando si dice "corsi e ricorsi storici"!

mercoledì 4 novembre 2015

L'archeologia nell'era del web 2.0

Parlare contemporaneamente di archeologia e tutto ciò che concerne l'informatica o internet sembra quasi un ossimoro, eppure anche la "scienza dell'antico" si è dovuta avvicinare a questo mondo che ci sembra così complesso.
Nel campo dell'informatica l'archeologia ha potuto formalizzare le proprie procedure d'indagine, ottimizzare i sistemi di catalogazione e gestione dei dati, sperimentare nuovi strumenti anche per il trattamento dei dati e la sua diffusione. Inoltre l'informatica si è così integrata nei metodi d'indagine dell'archeologia, dalle ricerche sul terreno a quelle in laboratorio che ha assunto un ruolo importante: da supporto operativo a contributo scientifico.
Nel campo della catalogazione e della tutela del patrimonio storico e artistico, parliamo del censimento di oggetti mobili e immobili, l'informatica ha assunto un carattere documentario, e ha avuto come punto di riferimento specifiche istituzioni pubbliche, in Italia ricordiamo il lavoro dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione con sede a Roma. Oltre a queste istituzioni di carattere nazionale vi sono anche altre iniziative con lo stesso scopo di informatizzare i dati creando per l'appunto banche-dati, troviamo per esempio in rete materiale riguardante la numismatica e l'epigrafia. Comprendiamo bene, a questo punto, l'importanza dell'informatica e della rete nella capacità di accedere a fonti e documenti sparsi nel mondo in maniera quasi immediata.
Un altro campo importante in cui l'informatica è stata decisamente preziosa è quello relativo alla ricerca archeologica sul campo, dalla ricognizione allo scavo vero e proprio. Parliamo ad esempio dell'integrazione tra una banca-dati relazionale e un GIS (Geographic Information System); questo sistema permette di realizzare un modello georelazionale della realtà archeologica dove è possibile spesso trattare allo stesso tempo informazioni di carattere documentario, spaziale e tematico mirando a una comprensione d'insieme dell'antico assetto territoriale. Questo ha portato anche ad approfondire e perfezionare alcuni indirizzi di ricerca come la cartografia archeologica digitale, i modelli digitali del terreno, le visualizzazioni virtuali interattive che sono uno dei settori che ha riscosso maggiore successo negli ultimi anni. Infatti la realtà virtuale ha permesso, per esempio, la ricostruzione urbanistica di una città o di determinati complessi architettonici; è stato possibile non solo comprendere come si presentavano gli edifici all'epoca della loro costruzione ma anche di elaborare specifiche tecniche di restauro.
Ricordiamo che il M.A.V., il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano propone ai visitatori installazioni virtuali di monumenti principalmente di Ercolano e Pompei, catapultandoli 2000 anni prima e facendoli vivere una giornata da antico romano, ed è un unicum nel suo settore.
Proprio ieri 3 novembre si è svolto un convegno intitolato "Condividere la sfida dei Musei Italiani. Scenari e Progetti del MUSEO 3.0" in cui si è discusso e ci si è confrontati sulla nuova sfida del musei, quella del progetto MuD, Musei Digitali, che ha l'obiettivo di migliorare le performance dei musei italiani in ambito digitale, con lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale.
Potrebbe essere finalmente la svolta per avvicinare ancora di più i giovani, e non solo, al mondo dell'arte, dell'archeologia? o a convincerli a visitare un museo? Speriamo di si! Be positive! 

mercoledì 26 agosto 2015

Ercolano capitale 2016: la sfida di tutta la Campania.

Veduta scavi di Ercolano, foto di Immapaola Memoli

Veduta Vesuvio e scavi di Ercolano, foto di Immapaola Memoli
Ercolano, comune della provincia di Napoli, 60000 abitanti circa e un’unica sfida: sbaragliare le altre nove finaliste candidate a capitale della cultura italiana 2016-2017. Ce la farà? Non sarà facile ma ce la metterà tutta, anzi ,ce la metteremo tutta perché la sfida è soprattutto quella degli abitanti e di tutta la Campania.
Ercolano è, oltre a Taranto, l’unica finalista del Sud, un meridione spesso ricordato per mafia, camorra, 'ndrangheta, e poco per siti archeologici, musei, ville e tanto buon cibo. Ebbene Ercolano rappresenta molto più che un singolo comune, rappresenta una voglia di riscatto, una voglia di mostrare che Napoli, la Campania non sono solo “pizza, Vesuvio e mandolino” ma molto molto di più.
Entro il 30 ottobre si deciderà la capitale italiana 2016 ed entro il 15 dicembre la capitale del 2017. Si parla di cultura ed Ercolano trasuda cultura da ogni angolo. Vorrei così esporre i motivi per cui potrebbe rappresentare la cultura italiana nei prossimi anni. In primis accoglie uno dei più importanti siti archeologici al mondo, non a caso è patrimonio dell’Unesco; parliamo di un sito archeologico dove c’è ancora molto da mettere in luce, come il teatro romano, che, secondo diverse ricostruzioni virtuali, doveva essere molto bello.  Nei progetti della fondazione Packard, che si occupa da anni della conservazione del sito,  presto verrà messa in luce  un’altra parte abbastanza vasta dell’antico sito romano, distrutto dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Lo stesso Vesuvio, vulcano attivo, che imponente ci guarda dall’alto della sua bocca è uno fra i più studiati al mondo ed il primo ad essere stato studiato sistematicamente, studi che continuano ancora oggi grazie all’Osservatorio Vesuviano. Proprio da Ercolano parte la strada che conduce al cono del vulcano.
Legato al sito archeologico è la famosa Villa dei Papiri, una maestosa villa che si affacciava sul mare e frequentata dai più importanti studiosi dell’epoca, in quanto ospitava un’importante biblioteca contenente numerosi papiri.
Oltre agli scavi e al Vesuvio per cui Ercolano è conosciuta da molti, meno conosciuta probabilmente è la presenza di bellissime ville ottocentesche costruite come dimore estive in seguito all’arrivo dell’aristocrazia a Portici, tra queste ricordiamo Villa Favorita, Villa Campolieto, Villa Aprile. Inoltre il tratto di strada che collega Ercolano al vicino comune Torre Del Greco, ovvero Corso Resina, una volta era chiamato “Miglio d’oro” proprio per la qualità e quantità degli edifici che dominavano la strada.
Come sappiamo nel 1839 fu inaugurata la prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici e la stazione Portici-Ercolano rappresentò allora il capolinea.
Nel 2007 viene inaugurato il M.A.V., Museo Archeologico Virtuale, che per la prima volta, grazie ad ottime ricostruzioni virtuali, ci trasporta nelle antiche Ercolano e Pompei facendoci capire come vivevano gli antichi abitanti romani.
A Pugliano si trova uno dei mercati più famosi in Campania, conosciuto anche come “mercato di Resina”, nato alla fine della seconda guerra mondiale come spaccio di divise militari lasciate dagli americani, poi diventato un importante mercato di abiti usati, vintage, pellami e accessori conosciuti con il nome di “pezze”. Ricordo che “Resina” è il nome che la città prese dopo la sua distruzione nel 79 d.C. fino al 12 febbraio 1969 quando il Presidente della Repubblica decretò il cambio del toponimo da Resina ad Ercolano.

Insomma Ercolano è piena di storia, cultura, folklore, da qui sono passati importanti personaggi quali Gabriele D’Annunzio e Johann Joachim Winckelmann; dunque invito tutti a credere in questa sfida e a "tifare" per questo piccolo comune, è la sua/nostra/vostra occasione di riscatto.

martedì 28 aprile 2015

Le terme romane

Le terme nell'antichità erano edifici pubblici dove era possibile fare bagni caldi o freddi e a cui erano connesse palestre e altri ambienti.
Sono uno degli edifici più conosciuti dell'architettura romana in quanto sono sopravvissuti oggi molti esempi.
Nell'antica Roma le terme svolgevano anche la funzione di luogo di incontro, passatempo, svago per tutte le classi sociali dal momento che l'entrata era gratuita.
Inizialmente nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di acque calde e fredde o dotate di particolari doti curative. In epoca repubblicana erano costituite da ambienti che fungevano da spogliatoi e da locali con acqua corrente calda, fredda e tiepida rispettivamente (calidarium, frigidarium e tepidarium)  e da una palestra.
Nel periodo imperiale divennero sempre più grandi e lussuose. Erano di varia grandezza e ve ne erano ovunque in città e nelle case. Erano di mattoni o pietra, rivestite o meno di pietra pregiata o marmi, Avevano vetri sulle finestre e a seconda dei tempi erano suddivisi in maschili e femminili o no. Alcune, come le terme di Caracalla (215 d.C.), comprendevano biblioteche e grandi spazi pubblici coperti.
Grazie alle migliorie nelle tecniche di riscaldamento dell'acqua le terme si diffusero anche in città, lontane dalle sorgenti naturali.
Il sistema adottato era quello di un pavimento, il "vespaio", poggiato su file di pilastrini di mattoni     (le suspensurae). La combustione di legna e carbone avveniva in una camera di combustione, praefurnium, a cui si accedeva dall'esterno dell'edificio. I fumi e l'aria calda passavano al di sotto del pavimento asportati da canne fumarie (tubuli di terracotta), inserite nelle pareti della camera e uscivano poi sopra il tetto (vedi immagine sotto).
Questa sistema era detto hypocaustum, che in greco significa "riscaldamento da sotto". Attraverso questa tecnica si riscaldavano il pavimento, le pareti e l'acqua; negli ambienti più caldi (il calidarium) si potevano raggiungere anche i 50/60°.

La documentazione pompeiana ha contribuito fortemente  alla conoscenza della storia delle terme romane. Infatti possiamo fare riferimento alle Terme Stabiane il cui impianto iniziale non dovrebbe risalire oltre la metà del III sec. a.C. e le cosiddette Terme Repubblicane, costruite negli ultimi decenni del secolo successivo.
Le prime documentano alcune importanti tappe nella formazione delle terme di tipo romano: alla prima fase, nella quale alla palestra si affiancano anguste stanzette da bagno provviste di semicupi, subentra una progressiva e sempre più razionale integrazione fra lo spazio utilizzato per gli esercizi fisici e quello destinato ai bagni, nei quali vengono costruiti ambienti specializzati e innovativi sul piano architettonico e funzionale: lo spogliatoio (apodyterium), la stanza per la detersione con lo strigile (destrictarium) e le sale per i bagni freddi (frigidarium), tiepidi (tepidarium) e caldi (calidarium e laconicum). Le terme pompeiane mostrano fra l'età tardo-repubblicana e quella imperiale una serie di varianti d'impianto e di soluzioni funzionali: la scomparsa e il ripristino del laconicum; la separazione dei settori maschile e femminile; l'utilizzazione dello stesso spazio in momenti diversi da parte di uomini e donne. Non mancano stabilimenti dalla più complessa articolazione, costruiti da privati e destinati a un pubblico più ristretto, dove l'edificio adibito alla palestra spesso è ridotto o assente.