martedì 30 maggio 2017

I 4 musei campani risorti dalle ceneri

Foto di Museo Archeologico Nazionale di Napoli (pagina facebook)
È in corso la campagna social #iostocongiulierini, per chi non lo sapesse Paolo Giulierini è, o forse, era il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, scelto per dirigere al meglio un museo, che diciamocela tutta, era al disastro totale.

Era il 2015 quando il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini nominò 20 direttori per dirigere 20 tra musei e luoghi culturali italiani; tra questi c’erano anche 7 stranieri, la cui nomina suscitò una forte polemica dai vari partiti politici nonché dallo storico dell’arte Vittorio Sgarbi che aveva definito questa scelta una “umiliazione” per i tanti esperti d’arte italiani.

All’inizio forse tutti eravamo un po’ scettici, anche sui criteri di scelta, una valutazione che si basava solo sui titoli e sull’esperienza, senza un vero e proprio concorso, eppure ad oggi molti si sono ricreduti. Sicuramente il percorso che hanno affrontato i 4 direttori alla guida dei musei campani è stata più ardua: come già detto, l’Archeologico di Napoli aveva tante sezioni chiuse al pubblico ed era poco attraente agli occhi di turisti e visitatori (io stessa mi vergognavo delle condizioni del museo); Capodimonte, la Reggia di Caserta e Paestum non erano da meno.

Ma analizziamoli uno per volta: Capodimonte è diretto da Sylvain Bellenger, 60 anni, storico dell’arte, francese. In questi due anni Capodimonte ha collezionato boom di visitatori tra l’iniziativa della prima domenica del mese gratis al museo, alle recenti notti dei musei, a Pasqua e Pasquetta di quest’anno ma già ad inizio del 2017 il bilancio era completamente positivo. Tantissime mostre ci sono state tra cui quella di Picasso, che sicuramente ha contribuito a far accrescere l’appetibilità del museo.
Paestum: record di visitatori, ben 400mila in due anni! Cifre strabilianti, merito anche del direttore Gabriel Zuchtriegel, tedesco, un nome quasi impronunciabile che ha risollevato il parco archeologico un po’ in abbandono.

La Reggia di Caserta affidata a Mauro Felicori è quella che ha ottenuto un successo enorme, registrando al 2016 ben 681mila visitatori, entrando nella top ten dei musei italiani più visitati nel 2016.

Arriviamo all’Archeologico guidato, speriamo ancora, da Paolo Giulierini, che nel 2016 rientrava tra i 15 musei italiani maggiormente visitati con 452.736 biglietti staccati! Le cifre parlerebbero da sole, ma per raggiungerle c’è stato un grande lavoro dietro. Innanzitutto i direttori hanno portato i propri musei sui social, e oggi sappiamo bene quanto possano influenzare e avere un grande ritorno d’immagine. La Reggia di Caserta, forse la più social, è molto presente anche su Instagram.

Altro grande merito per l’Archeologico è stato quello di organizzare spesso serate tematiche, da un lato garantendo l’apertura del museo anche di sera, dall’altro attraendo un pubblico sempre più diverso, che ha conosciuto il museo sotto un altro punto di vista. In primis il contributo maggiore, a mio parere, è stata la riapertura di tante sezioni, bellissime, chiuse, la sezione egizia ad esempio e in ultima quella epigrafica. Tanti reperti sono riemersi dalle stanze impolverate in cui erano tenute e questo sicuramente è da attribuire ad una dirigenza che ha saputo organizzare il lavoro e permettere tutto ciò.

Le lodi si sprecano, ma contano i fatti e i fatti dicono che la scelta di Franceschini è stata vincente.

Dunque #iostocongiulierini non perché mi è simpatico ma perché ha risollevato dalle ceneri un museo, tra i più importanti e belli d’Italia, #iostocongiulierini affinchè le persone competenti siano al posto che gli spetta, #iostocongiulierini perché amo l’archeologia e l’arte quella valorizzata e non chiusa nel cassetto!

venerdì 3 marzo 2017

#DOMENICAALMUSEO gratis, marzo 2017: l'elenco completo dei luoghi statali

Continua l'iniziativa del MIBACT #DOMENICAALMUSEO: la prima domenica di ogni mese l'ingresso nei musei e nei siti archeologici statali è gratuito.

Dal 1 luglio 2014 una norma del decreto Franceschini stabilisce che ogni prima domenica del mese non si paga il biglietto d'ingresso nei musei e siti archeologici statali. Si potranno visitare gratuitamente monumenti, musei, gallerie, scavi archeologici, parchi e giardini monumentali dello Stato.

Vi ricordiamo che:

- non tutti i musei statali però saranno accessibili gratuitamente;

- attenzione! alcuni sono visitabili solo su prenotazione;

- le mostre generalmente non sono gratuite;

- munitevi di tanta pazienza e non arrivate troppo tardi perchè potreste trovare lunghe file per entrare.

Qui l'elenco completo dei luoghi statali aperti gratuitamente per il mese di marzo 2017.


giovedì 23 febbraio 2017

Il NO di Atene a Gucci: "un'offerta che non poteva rifiutare"?

Volevo scrivere due righe in merito al NO a gran voce di Atene alla proposta di Gucci di sfilare sull’Acropoli. C’è chi sostiene abbia fatto bene, chi invece ritiene sia da folli rifiutare una tale offerta, come se l’avesse fatta Don Vito Corleone ne “Il Padrino”, insomma l’opinione è divisa.

In breve: Gucci avrebbe offerto fior di milioni di euro per far sfilare, circa 15 minuti, modelle e modelli su una pedana posta tra il Partenone e l’Eretteo. Cosa ci sarebbe di male, in fondo? Se conosco un po’ il mondo greco dall’antichità ad oggi, capisco bene la loro ferma decisione. È un popolo molto nazionalista e legato alle sue radici e alla sua cultura millenaria: l'Acropoli era un luogo sacro per gli antichi Greci ed oggi possiamo dire che mantiene questa sacralità anche per i greci del terzo millennio. Si và ben oltre ad una questione puramente economica.

Chi pensa siano stati dei pazzi, forse conosce poco la Grecia e le sue origini. È vero, non è una nazione messa bene, crisi, debito pubblico e chi ne ha più ne metta, ma accettare avrebbe voluto dire rinnegare il proprio pensiero. Gucci avrebbe offerto 2 milioni di euro solo per restaurare l’Acropoli, oltre gli 80 tra pubblicità e diritti televisivi, e qui nasce una polemica infinita che ha spinto a fare controproposte: “Gucci vieni alla Valle dei Templi ad Agrigento”, “Gucci vieni alla Reggia di Caserta”.
Che siano provocazioni o meno, resta il fatto che il rifiuto di Atene è stato visto come chi rifiuta oggi un lavoro in Italia perché va contro i suoi principi ed ideali, nessuno lo farebbe. Atene invece ha fatto una scelta di pancia, azzardata, come se avesse giocato al gioco dei pacchi “Affari tuoi”, rifiutando l’offerta del “dottore Gucci”, ed andando avanti per la sua strada.

Possiamo biasimarla? Non so, le scelte degli altri bisogna rispettarle nel bene o nel male. Atene ha deciso di non vendere la sua cultura perché vale molto ma molto di più.

venerdì 27 gennaio 2017

Aldo Carpi: il pittore che si salvò dall'Olocausto grazie alla sua arte


L’arte è ancor più meravigliosa quando rappresenta la realtà, che sia anche cruda e orribile, perciò nella Giornata della Memoria vorrei raccontarvi la storia di Aldo Carpi, un pittore deportato in un campo di concentramento austriaco che trovò la salvezza grazie alle sue opere d’arte.

Aldo Carpi nacque a Milano il 6 ottobre del 1886. Si diplomò all’Accademia di Brera con il massimo dei voti e due anni dopo già esponeva le sue opere alla Biennale di Venezia, un vero e proprio genio. Dopo aver partecipato come volontario alla Prima Guerra Mondiale, anche se era fortemente contrario, tornò alla sua attività di pittore realizzando nel 1927 le vetrate della Basilica di San Simpliciano a Milano. Era titolare di cattedra all’Accademia di Brera.

Antifascista e nipote di un ebreo convertito al cristianesimo, nel 1944 viene arrestato dai fascisti, non perché fosse ebreo ma perché “colpevole” di aver difeso una sua alunna israelita maltrattata dagli altri docenti e dai compagni. Fu proprio un suo collega a raccontare l’accaduto ai fascisti. Si narra che avrebbe potuto sfuggire all’arresto ma decise di farsi trovare a casa (era sfollato in Brianza con la moglie e suoi sei figli) per salvare probabilmente i figli, attivi nella Resistenza. Uno dei sei figli, il diciasettenne Paolo, però, venne catturato e portato prima a Flossenburg e successivamente nel campo di sterminio di Gross-Rosen, dove fu ucciso dai nazisti con una iniezione.

Carpi venne portato al carcere di San Vittore, successivamente deportato a Mauthausen e, infine, a Gusen, che ne era una specie di sottosezione, dove scrisse su alcuni foglietti, che conservava nelle tasche del pigiama, sotto forma di lettere rivolte alla moglie, uno sconvolgente diario che verrà poi pubblicato con il titolo di  “Il Diario di Gusen”.

"La spiaggia" (Foto di museomaga.it)
Messo a lavorare nelle cave, sarebbe sicuramente morto ma le sue grandi doti di pittore in qualche modo lo salvarono. Un aguzzino delle cave, scoperto che Carpi era un pittore, gli chiese un ritratto da mandare alla sua famiglia. Da quel momento seguirono altri ritratti di ufficiali, carcerieri e delle loro mogli e figli, prendendo come modello una fotografia. Carpi, così, realizzò questi ritratti immaginando paesaggi marini e montani, divenendo delle vere e proprie opere d’arte.

Grazie all’aiuto di un medico riuscì a conservare il suo “diario” e altri disegni che raccontavano il dolore e la sofferenza di quei campi, in un luogo segreto.

Finita la guerra venne nominato direttore dell’Accademia di Brera e, come molti sopravvissuti dell’Olocausto, faceva faticare a raccontare le atrocità vissute in quegli anni. Fu la figlia Giovanna che trascrisse e pubblicò quei foglietti del padre affinchè tutti potessero conoscere e non dimenticare la pagina più terribile della storia dell’umanità.

Troverete tante altre opere di Aldo Carpi cliccando qui.

Fonti:

Enciclopedia “Treccani” online

reportage.corriere.it/senza-categoria/2015/aldo-carpi-il-pittore-deportato-salvato-dai-suoi-disegni-

shoah-memoria/

www.deportati.it/recensioni/diario_di_gusen.html

www.anpi.it/donne-e-uomini/2340/aldo-carpi

www.museomaga.it/

giovedì 25 febbraio 2016

Tecniche di pittura dell'Antica Roma

In un precedente articolo ho parlato dei famosi quattro "stili pompeiani" in cui ho illustrato le caratteristiche di ogni stile pittorico romano che è stato classificato sulla base degli affreschi pompeiani (vi rimando all'articolo in questione I quattro "stili pompeiani"  ), qui vorrei fare invece un'appendice sulle tecniche utilizzate per dipingere questi affreschi parietali su suggerimento di una cara lettrice e fan del mio blog.
Ci si chiede infatti: come ottenevano i colori? Erano diluiti? Come hanno resistito così a lungo?
Dalle testimonianze che abbiamo i colori usati erano perlopiù il giallo, il rosso, il verde, il blu e il nero; colori forti e brillanti di origine minerale, vegetale e animale, che davano un'immagine di vivacità lontana da quella che siamo abituati a vedere con il candore e purezza dei marmi bianchi.
La tecnica pittorica utilizzata ci è stata tramandata da Plinio il Vecchio e Vitruvio. 
Plinio il Vecchio ci parla della tecnica dell'encausto, Vitruvio di quella dell'affresco, ma essendo la seconda più resistente si propende oggi a ritenere fosse quella utilizzata per esempio negli affreschi pompeiani giunti fino ai nostri giorni quasi intatti.
La tecnica dell'encausto consisteva nel mescolare i colori con la cera "punica", ovvero una cera fatta bollire in acqua di mare, si otteneva così una tempera densa da diluire eventualmente con l'acqua.
La tecnica dell'affresco prevedeva che il colore fosse steso su un intonaco ancora fresco e questo permetteva ai colori di restare in eterno, sempre lì.
Vitruvio ci descrive la tecnica nel libro VII, capitolo III e IV, ripropongo alcuni estratti:
"colores autem, udo tectorio cum diligentere sunt inducti, ideo non remittunt sed sunt perpetuo permanentes, quod calx, in fornacibus excocto liquore facta raritatibus evanida, ieiunitate coacta corripit in se quae res forte contingerunt, mixtionibusque ex aliis potestatibus conlatis seminibus seu principiis una solidescendo, in quibuscumque membris est formata cum fit arida, redigitur, uti sui generis proprias videatur habere qualitates"
"questi colori diligentemente stesi sull'intonaco ancora umido, appunto per questo non si staccano, ma rimangono in eterno, perchè la calce, la quale ha perso tutta la sua umidità nella fornace ed è divenuta porosa, quasi costretta dalla fame assorbe tutta l'umidità con cui si trova a contatto, e con nuove mescolanze attraendo a sè gli elementi dei corpi su cui è stesa e di nuovo solidificandosi insieme con essi e prosciugandosi, si ricostituisce in modo da riprendere le qualità iniziali su proprie".

Spero di aver soddisfatto la curiosità di questa nostra lettrice, alla prossima ;)

mercoledì 16 dicembre 2015

La moda nell'Antica Grecia

Da un paio di anni, in particolar modo con l'avvento dei blog e dei tutorial su youtube, veniamo bombardati  da ragazze e ragazzi che dispensano consigli su come vestirsi, come abbinare colori e accessori, utilizzando spesso un linguaggio che facciamo fatica a capire, un misto tra inglese e parole "new age". Eppure, un tempo, la moda era a portata di tutti, gli abiti erano semplici ma allo stesso tempo avevano una propria eleganza e un proprio charme.
Catapultandoci all'incirca cinque secoli prima di Cristo ci rendiamo conto che l'abbigliamento era molto semplice; le donne indossavano il peplo, ovvero un rettangolo di stoffa, generalmente di lana, che veniva avvolto in vita formando dei drappeggi e fermato con una cintura e chiuso con spilloni sulle spalle, lasciando le braccia scoperte, il risultato finale era una sorta di tunica. Il peplo venne utilizzato fino alla metà del VI sec. a.C., verso la fine dello stesso secolo iniziò invece a diffondersi il chitone; si trattava di un abito più leggero, consistente in due rettangoli in lino detti ptèryges, sovrapposti e cuciti in lunghezza, anche questo era fissato in vita con un cordone o una cintura e fermato sulle spalle con spilloni in un primo momento e poi con vere e proprie cuciture in un secondo momento. Completava l'outfit (per utilizzare un termine moderno), l'himation, ovvero un mantello che poteva coprire sia le spalle che la testa utilizzato sia con il chitone che con il peplo.
Athena copia del I sec. a,C. dell'originale di Mirone den V sec. a.C.
Nell'immagine sopra Athena indossa un tipico peplo greco che vediamo fermato in vita da una cintura. Il colore era solitamente naturale tra il bianco o lo zafferano.
Statua di età flavia conservata alle Terme di Diocleziano mostra un esempio di chitone avvolto da himation.
                                                                                                                      
 Anche gli uomini indossavano chitone e himation; il chitone generalmente consisteva in una lunga tunica cucita su un lato e fermata sulla spalla da bottoni o cucita, molto simile quindi a quello femminile. Esistevano però due versioni, quella lunga fino ai piedi senza cintura ( il podères) che veniva indossato solo da dèi, uomini anziani o membri di spicco della comunità in quanto considerato un abbigliamento formale e prestigioso; l'altra versione era un chitone corto fino alle ginocchia che era un vestito da tutti i giorni indossato da soldati, cacciatori o comunque da uomini impegnati in attività quotidiane che avevano bisogno di un abbigliamento comodo e libero che non ostacolava le loro attività. L'himation aveva la stessa funzione di quello femminile, ossia un mantello poggiato sulla spalla e fatto cadere su un lato.
Per l'uomo esisteva anche la clamide; si tratta di un mantello corto fissato con una fibbia o uno spillone alla spalla sinistra così che il braccio destro rimaneva libero.
Nell'immagini che seguono abbiamo un esempio di chitone lungo e altri quattro esempi di chitone corto, himation e clamide.
Chitone maschile lungo
Chitone maschile corto, himation e clamide.

Per quanto riguarda le calzature sostanzialmente esistevano due tipi: uno "stivaletto" in pelle di diversa altezza che fasciava il piede e aveva diversi nomi (embàdes, endromìdes, kòthornoi ) e un sandalo vero e proprio detti krepìdai, blàutai.
Mentre l'abbigliamento maschile oggi è difficile da riproporre quello femminile invece ha avuto molto seguito anche ai giorni nostri con abiti che richiamano la moda di quel tempo, soprattutto per quanto riguarda gli abiti da sposa o gli abiti lunghi da cerimonia che vengono definiti infatti "alla greca", per non parlare dei sandali che in questi ultimi anni stanno riprendendo molto le forme tipiche dell'antica Grecia e anche dell'antica Roma.
Quando si dice "corsi e ricorsi storici"!

mercoledì 4 novembre 2015

L'archeologia nell'era del web 2.0

Parlare contemporaneamente di archeologia e tutto ciò che concerne l'informatica o internet sembra quasi un ossimoro, eppure anche la "scienza dell'antico" si è dovuta avvicinare a questo mondo che ci sembra così complesso.
Nel campo dell'informatica l'archeologia ha potuto formalizzare le proprie procedure d'indagine, ottimizzare i sistemi di catalogazione e gestione dei dati, sperimentare nuovi strumenti anche per il trattamento dei dati e la sua diffusione. Inoltre l'informatica si è così integrata nei metodi d'indagine dell'archeologia, dalle ricerche sul terreno a quelle in laboratorio che ha assunto un ruolo importante: da supporto operativo a contributo scientifico.
Nel campo della catalogazione e della tutela del patrimonio storico e artistico, parliamo del censimento di oggetti mobili e immobili, l'informatica ha assunto un carattere documentario, e ha avuto come punto di riferimento specifiche istituzioni pubbliche, in Italia ricordiamo il lavoro dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione con sede a Roma. Oltre a queste istituzioni di carattere nazionale vi sono anche altre iniziative con lo stesso scopo di informatizzare i dati creando per l'appunto banche-dati, troviamo per esempio in rete materiale riguardante la numismatica e l'epigrafia. Comprendiamo bene, a questo punto, l'importanza dell'informatica e della rete nella capacità di accedere a fonti e documenti sparsi nel mondo in maniera quasi immediata.
Un altro campo importante in cui l'informatica è stata decisamente preziosa è quello relativo alla ricerca archeologica sul campo, dalla ricognizione allo scavo vero e proprio. Parliamo ad esempio dell'integrazione tra una banca-dati relazionale e un GIS (Geographic Information System); questo sistema permette di realizzare un modello georelazionale della realtà archeologica dove è possibile spesso trattare allo stesso tempo informazioni di carattere documentario, spaziale e tematico mirando a una comprensione d'insieme dell'antico assetto territoriale. Questo ha portato anche ad approfondire e perfezionare alcuni indirizzi di ricerca come la cartografia archeologica digitale, i modelli digitali del terreno, le visualizzazioni virtuali interattive che sono uno dei settori che ha riscosso maggiore successo negli ultimi anni. Infatti la realtà virtuale ha permesso, per esempio, la ricostruzione urbanistica di una città o di determinati complessi architettonici; è stato possibile non solo comprendere come si presentavano gli edifici all'epoca della loro costruzione ma anche di elaborare specifiche tecniche di restauro.
Ricordiamo che il M.A.V., il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano propone ai visitatori installazioni virtuali di monumenti principalmente di Ercolano e Pompei, catapultandoli 2000 anni prima e facendoli vivere una giornata da antico romano, ed è un unicum nel suo settore.
Proprio ieri 3 novembre si è svolto un convegno intitolato "Condividere la sfida dei Musei Italiani. Scenari e Progetti del MUSEO 3.0" in cui si è discusso e ci si è confrontati sulla nuova sfida del musei, quella del progetto MuD, Musei Digitali, che ha l'obiettivo di migliorare le performance dei musei italiani in ambito digitale, con lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale.
Potrebbe essere finalmente la svolta per avvicinare ancora di più i giovani, e non solo, al mondo dell'arte, dell'archeologia? o a convincerli a visitare un museo? Speriamo di si! Be positive!