mercoledì 22 ottobre 2014

I quattro "stili pompeiani"

Non tutti sanno che, quando parliamo dei famosi "quattro stili pompeiani", ci riferiamo a una classificazione generale della pittura romana codificata dall'archeologo tedesco August Mau sulla base delle pitture giunte fino a noi dalle città della Campania sommerse sotto la cenere e il fango del Vesuvio. Infatti le particolari condizioni di conservazione di città come Pompei (da qui l'aggettivo "pompeiano") e Ercolano hanno reso possibile studiare l'evoluzione della pittura di Roma.
In realtà si usa il termine "stile" erroneamente perchè si parla piuttosto di schema decorativo.
Casa di Sallustio, Pompei (Tratto da "Pompei. Guida agli scavi")
Casa Sannitica, Ercolano
 (Tratto da "L'arte dell'antichità classica")
Il primo stile detto anche "strutturale o dell'incrostazione" si colloca dal II sec. a.C. alla prima metà del I sec. a.C., imita un rivestimento in lastre di marmo e le lastre erano imitate modellando dello stucco che veniva colorato. Si utilizzava sia in edifici pubblici che in abitazioni e in particolare nelle abitazioni modeste cosicchè si evitava l'utilizzo del marmo. Si trovano alcuni esempi a Pompei nella Basilica, nella Casa del Fauno e nella Casa di Sallustio; ad Ercolano nella Casa Sannitica. 
Casa dei Grifi, Palatino, Roma
(Foto tratta da "L'arte romana nel centro del potere")

Villa dei Misteri, Pompei (Tratto da "Pompei. Guida agli scavi")
Il secondo stile detto "dell'architettura in prospettiva" si colloca tra la seconda metà del I sec. a.C. e il I sec. d.C.. La pittura imita le architetture in modo realistico: troviamo parapetti, colonne, architravi e spesso uno zoccolo inferiore con una decorazione a incrostazione. Con un abile gioco di luci e ombre si creava un effetto illusionistico, in rilievo. A Roma troviamo questo stile nella casa dei Grifi sul Palatino; a Pompei è presente all'interno della Villa dei Misteri; ma forse l'esempio più ricco del secondo stile si trovava nella villa di Boscoreale che risale a dopo il 50 a.C. le cui pitture sono state smantellate e si trovano sparse in diversi musei.

Casa di Giulio Polibio, Pompei (Tratto da "Pompei. Guida agli scavi")
Il terso stile detto "ornamentale"si sovrappone al secondo stile e arriva fino all'epoca di Claudio (41-54 d.C.). C'è un'inversione di tendenza in quanto viene abbandonata la prospettiva architettonica e si lascia il posto a strutture piatte con campiture monocrome, scure, assimilabili a tendaggi o tappezzerie, al centro dei quali si collocano dei pannelli (pinakes) con raffigurazioni di diverso genere. Ne abbiamo un esempio nella Casa di Giulio Polibio e a Pompei.

Casa dei Vettii, Pompei (Tratto da "Pompei. Guida agli scavi")
Il quarto stile detto "dell'illusionismo prospettico" si colloca subito dopo il 60 d.C. perchè a Pompei lo ritroviamo utilizzato nella decorazione di diverse ville dopo il terremoto del 62 d.C. Si caratterizza per una grande ricchezza ma nulla di nuovo dal momento che riprende gli stili precedenti, dall'imitazione di lastre marmoree del primo stile, alle finte architetture del secondo stile agli elementi vegetali tipici del terzo stile. Gli esempi più importanti a Pompei li troviamo nella Casa dei Vettii e nella Casa dei Dioscuri.

Fonti:
- "Roma. L'arte romana nel centro del potere" di Ranuccio Bianchi Bandinelli, Milano, 2007
- "L'arte dell'antichità classica. Etruria-Roma", di Ranuccio Bianchi Bandinelli, Mario Torelli, Novara, 2008
- "Pompei. Guida agli scavi" di Pier Giovanni Guzzo e Antonio d'Ambrosio, Napoli, 2010

mercoledì 15 ottobre 2014

Colonne e capitelli

Con questo nuovo post voglio introdurre una nuova rubrica chiamata "Non tutti sanno che..." per rispolverare o insegnare a chi non ne ha mai avuto conoscenza, alcuni termini base dell'archeologia e della storia dell'arte.
Chi non ricorda a scuola quella confusione tra colonna, capitello, ordini e chi ne ha più ne metta? Ecco! Vorrei iniziare proprio chiarendo il significato di questi termini e il loro uso nell'antichità.
La colonna è un elemento architettonico che poteva essere in legno o pietra, era di forma cilindrica e veniva utilizzato negli edifici come supporto ad altri elementi.
Generalmente la colonna è formata da una base, un fusto e un capitello ma a seconda delle diverse epoche la sua struttura può variare.
Il capitello è la parte sommitale di una colonna, lesena o pilastro su cui poggia l'architrave dell'edificio e anch'esso presenta diverse tipologie sulla base degli ordini architettonici a cui appartiene.
Arriviamo dunque all'ordine architettonico. Si definisce ordine architettonico uno degli stili sviluppatesi nell'architettura greca e codificati successivamente dalla cultura architettonica, ognuno distinto da profili, proporzioni, dettagli caratteristici e generalmente riconoscibili dal tipo di colonna e di capitello, o meglio da tutto l'insieme degli elementi architettonici che vanno a costituire un sistema trilitico, quindi la colonna, il relativo capitello e la sovrastante trabeazione.
Dunque sia che parliamo di colonna dorica, ionica e corinzia sia che parliamo di capitello dorico, ionico e corinzio non facciamo nessun errore, bisogna però sapere che fanno parte di un ordine architettonico ovvero di un insieme di elementi che hanno determinate caratteristiche.

L'ordine dorico, come ci suggerisce il nome, ha un origine peloponnesiaca anche se si diffonde a partire dal VI sec. a.C.. La colonna è rastremata verso l'alto, presenta dalle 16 alle 20 scanalature che creano un effetto chiaroscuro e termina con un leggero rigonfiamento. Il capitello è formato dall'echino, si tratta di una specie di "cuscinetto rigonfio" che tende a una forma tronconica su cui poggia l'abaco che ha la forma di un prisma con base quadrata.

L'ordine ionico assorbe e rielabora motivi orientali. A differenza dell'ordine dorico la colonna ionica non poggia direttamente sul gradino ma presenta una base formata da due elementi, uno chiamato toro di forma convessa su cui poggia la scotia di forma concava. In Grecia abbiamo invece due tori con in mezzo la scotia. Sulla base si erge il fusto che ha proporzioni più snelle rispetto all'ordine dorico e le scanalature sono separate da listelli. Sul fusto poggia il capitello ionico caratterizzato da due volute, al centro di ogni voluta, chiamato "occhio", poteva esserci una decorazione.

L'ordine corinzio è caratterizzato soprattutto dalla decorazione del capitello costituito da foglie d'acanto e volute.

mercoledì 8 ottobre 2014

Atena/Minerva

Atena, secondo la mitologia greca, nacque per partenogenesi da Zeus che inghiottì Meti, patrona della saggezza e della sapienza.
Secondo i Pelasgi la dea Atena nacque presso il lago Tritonide in Libia, dove fu raccolta e nutrita da tre ninfe di quella regione che vestivano pelli di capra. Ancora fanciulla uccise accidentalmente la sua compagna di giochi Pallade, mentre erano impegnate in uno scherzo giocoso armata di lancia e scudo; in segno di lutto aggiunse al suo nome quello di Pallade.
Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l'aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio e la nave. Fu la prima a insegnare la scienza dei numeri e tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere. Difatti nell'immaginario collettivo è la dea della tessitura, dell'artigianato, nonchè della sapienza, acquisita dalla madre.
Atena è anche la dea della guerra, essa non gode delle sanguinose battaglie come accade ad Ares e a Eris ma preferisce appianare le dispute e far rispettare la legge con mezzi pacifici. Quando invece è impegnata in una guerra non perde mai una battaglia sia pure contro lo stesso Ares perchè più esperta di lui nell'arte strategica
Molti dèi Titani o Giganti avrebbero volentieri sposare Atena ma essa si rifiutò. Durante la guerra troiana, non volendo chiedere le armi a Zeus che si era dichiarato neutrale, chiese a Efesto di fabbricarle un'armatura, Efesto si rifiutò di pagarla perchè dichiarò di prendere l'incarico per amore, Atena accettò non capendo la frase di Efesto. Quando si recò da lui egli cercò di farle violenza; si trattava in realtà di uno scherzo di Posidone che informò Efesto che Atena si stava recando da lui per fare l'amore. Quando Atena divincolò da Efesto questi eiaculò sulla sua coscia, un pò al di sopra del ginocchio. La dea si ripulì dello sperma con della lana che gettò via disgustata; la lana cadde al suolo presso Atene e fecondò la Madre Terra che passava di là. La Madre Terra rifiutò ogni responsabilità per l' educazione del bimbo nato e Atena allora lo prese sotto la sua protezione chiamandolo Erittonio. Per evitare che Posidone ridesse del suo scherzo riuscito, lo celò in un cesto e lo affidò ad Aglauro, figlia maggiore del re di Atene, Cecrope, raccomandandole di averne cura. Si dice che Erittonio fosse metà uomo e metà serpente come Cecrope.
La verginità di Atena era per gli Ateniesi il simbolo dell'espugnabilità della città e per questo che in un momento successivo per giustificare la presenza di un fanciullo-serpente che sbuca dall'egida di Atena nelle pitture arcaiche modificarono la nascita di Erittonio, facendo derivare il nome da erion che significa "lana" e da chtonos "terra".
Nell'iconografia classica Atena è rappresentata con elmo, egida e scudo.
Atena, Glyptothek, Munchen
Abbiamo una versione con il serpente che esce dall'egida: si tratta della cosiddetta "Atena Giustiniani", una copia romana di età antonina di un originale greco di fine V sec. e inizio IV sec. a.C.
Atena Giustiniani, Musei Vaticani
Un'altra famosa rappresentazione di Atena è la "Varvakeion Athena", ovvero una copia di II-III sec. d.C. dell'Atena Parthenos di Fidia che fu posta all'interno del Partenone nel 447 a.C.

Varvakeion Athena,
Museo Nazionale Archeologico di Atene





mercoledì 1 ottobre 2014

Domus e Insulae

Prendendo spunto dalla curiosità di una mia amica su come si presentava una casa al tempo degli antichi Romani ho pensato di parlarvi un pò delle abitazioni romane.
Come oggi il luogo, cuore della vita di tutti i giorni, è la casa, così era anche per i romani.
Da un punto di vista tipologico le case si suddividevano in due grandi categorie: le domus, ossia le case signorili, e le insulae, ovvero i caseggiati popolari, articolati in più piani e suddivisi in appartamenti.
Un primo mito da sfatare è che le case romane erano tutte grandi e belle come le immaginiamo oggi dai resti che ci sono pervenuti. In realtà se oggi disponiamo perlopiù dei resti di domus romane è perchè trattandosi di abitazioni di uomini ricchi questi potevano permettersi di utilizzare materiali resistenti e di qualità per la loro costruzione; lo stesso non possiamo dire per le insulae per le quali si utilizzavano materiali più deperibili, soprattutto il legno.   

Inizialmente le stanze erano disposte intorno all' atrium che costituiva il fulcro della residenza, il cuore della vita familiare. In seguito l'assetto della domus divenne più complesso e la centralità dell'atrio divenne meno accentuata.
Gli elementi ricorrenti erano un primo corridoio di ingresso, il vestibulum a cui ne seguiva un altro che immetteva nell'atrio (fauces).
L' atrium era caratterizzato da un ambiente solitamente quadrato, aperto, con al centro una vasca chiamata impluvium, all'interno della quale si raccoglieva l'acqua piovana e collegata sotto a una cisterna sotterranea, in modo tale da conservare l'acqua; un lato dava sul giardino, il peristilio, un ambiente circondato da portici e pieno di vegetazione.
Dal cortile si accedeva ai cubicula, ovvero le stanze da letto che erano piccole e buie, senza finestre; al tablinum, che inizialmente aveva la funzione di sala da pranzo, dove le famiglie consumavano i pasti ma in un momento successivo diventò una sala di ricevimento degli ospiti; al triclinum che comparve successivamente e sostituì la sala da pranzo, era il luogo in cui si svolgevano i banchetti alla maniera greca, sui triclinari, ovvero dei letti. Vi era poi la taberna, la moderna cucina.
Il peristilio era sicuramente il vero ambiente di rappresentanza dove i romani amavano ostentare la propria ricchezza arricchendolo di statue e fontane; ancora oggi a Ercolano e Pompei ne possiamo ammirare la bellezza. Il colore dominante delle pareti delle domus era il famoso "rosso pompeiano", altri colori utilizzati erano l'azzurro, il giallo, il verde. Sulle pareti venivano riprodotte scene di vita quotidiana, cibi che venivano consumati o immagini della famiglia che vi abitava. Inoltre si tendeva a rappresentare immagini legate alla funzione dell'ambiente in cui si trovavano per questo è stato possibile stabilire la funzione dei diversi ambienti. Gli ambienti di servizio come bagni, cucine o le stanze riservate alla servitù erano disposti in maniera non visibile agli ospiti ma comunque in una posizione da rendere possibili comunicazioni comode e veloci.

L' insula invece si articolava su più piani, il più delle volte l'ambiente a piano terra era costituito dalle botteghe di vario genere e di un soppalco per il deposito dei materiali e/o per l'alloggio degli artigiani più poveri. Generalmente i piani non erano meno di cinque, anche se da Augusto in poi si cercò di limitare l'altezza delle insulae imponendo delle misure standard; all'interno erano suddivise in più appartamenti che prendevano il nome di cenacula.
L'esterno di questi edifici popolari era decoroso, all'interno invece la situazione era caotica per la promiscuità d'uso degli spazi, spesso nello stesso ambiente si dormiva e si mangiava, e per l'assenza di alcuni servizi essenziali come i bagni. Nonostante i romani fossero dei bravi ingegneri idraulici e avessero dotato l'Urbe di acquedotti, nelle insulae, soprattutto negli appartamenti ai piani più alti, non arrivava l'acqua. Per i gabinetti utilizzavano quelli pubblici, le cosiddette latrine, di cui abbiamo alcuni esempi ad Ostia antica e di notte usavano dei vasi che i romani avevano l'abitudine di svuotare la mattina gettandone il contenuto dalla finestra.